“Reckoning”
(1984, I.R.S.) immortala lo stato di grazia dei
R.E.M., ne fotografa la dirompente
voglia di suonare. L’album, prodotto dalla coppia Mitch Easter / Don Dixon e
registrato in due settimane negli studi
Reflection di Charlotte (North Carolina), suona fresco e convincente. Dopo il
debutto illuminante, ma a tratti ancora acerbo, il gruppo elabora un suo stile
personale, che diventerà nel corso degli anni inconfondibile e costituirà il
marchio di fabbrica su cui poi investirà senza remore la major discografica
Warner. La band non si dirige verso nuove vie, preferendo affermare con
determinazione gli stilemi comparsi in Murmur, ed ecco che ricompaiono i testi
non-sense di Stipe (cut-up geniali di frasi estrapolate dal contesto), l’armonioso
impasto vocale tra voce principale e controcanti e l’immancabile tocco di
chitarra di Buck.Ne esce un disco di transizione, non concepito come tale: si
intravedono i primi segnali di maturità, il suono di insieme è più compatto e solido, la intesa tra Stipe e Mills diventa
perfetta in ogni singolo passaggio. Con ingenuità e spontaneità i R.E.M.
realizzano l’anello mancante tra l’ep
“Chronic Town” e “Murmur” .“Harborcoat”, canzone di apertura, tiratissima e
dirompente, ci guida tra i flussi di pensiero e
impulsi visivi di Stipe, sempre aperti alla libera interpretazione. Se
non riuscite a capire cosa diamine significhi “Harborcoat”, non siete i soli,
“Harborcoat” è un neologismo coniato da Stipe, nato dall’unione di due parole: “harbour” (porto) e “coat”(cappotto).
Diverse frasi e parti di testi sfuggono a una traduzione razionale, con i
R.E.M., non c’è nulla da fare, bisogna lasciarsi trascinare dall’immaginazione
ispirata dalle trame sonori e dalle tonalità profonde della voce di
Stipe.”Seven cinese brothers”, ispirata alla favola dei Cinque fratelli cinesi
di Claire Huchet Bishop e Kurt Wiese, è un abile gioco di parole, che si
trasforma poi in una dedica a Carol
Levy, fotografa amica della band, morta in un incidente automobilistico (“Seven
thousand years to sleep away the pain.She will return, she will return. /
Dormire settemila anni per scacciare il
dolore. Lei ritornerà, lei ritornerà”).Il ricordo dell’amica vive in altri due
brani “So.central rain “ e “Camera” : in
“So.central rain” Stipe descrive uno scenario tragico, un alluvione interrompe
i collegamenti telefonici, in questo contesto si inserisce l’urlo di dolore
“I’m sorry” rivolto all’amica morta con i suo sogni (“ the city on the river
there is a girl without a dream / la città sul fiume , c’è una ragazza senza un
sogno”), in “Camera” Stipe è ancora più esplicito, già dal titolo, allude a
Carol Levy, facendo riferimento alla sua passione, la fotografia( “If I’m to be
your camera, then who will be your face?/ se deve essere la tua macchina fotografica,
chi sostituirà il tuo volto). Se si esclude “(Don’t go back to) Rockville “,
dedica alla studentessa universitaria di Athens, Ingrid Shorr , scritta da Mike
Mills, le altre canzoni non presentano una narrazione descrittiva, ma si basano su giochi di assonanza tra parole e
musica ( “Second Guessing”, “Letter never sent “ ,”Little America, “Pretty
Persuasion”, “Time after Time”).La capacità di divertirsi con le parole come se
fossero strumenti da suonare è la magia racchiusa in questo album. Da riscoprire.
Questa recensione fa parte di uno speciale dedicato alla band di Athens
Qui potete trovare nella sua interezza la parte dedicata al primo periodo : 1982 -1988
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5 commenti:
Lo ammetto è il mio preferito ...
ho tutti i loro dischi! ^^
so central rain e il suo straziante "I'm sorry" li adoro!
In assoluto uno tra i migliori della loro discografia.
@cooksappe anch'io :D.
@Margherita Anch'io adoro So. central rain è tra le mie preferite dei R.E.M.
@Blackswan
Concordo.
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