mercoledì 11 aprile 2012

Blueboy - If wishes were horses


Le cose semplici, genuine nella vita vengono spontanee, i Blueboy, duo pop britannico, nascono dall'amicizia fra Keith Girdler e  Paul Stewart. A una festa di qualche amico comune, i due cominciano a parlare di dischi per ore ed ore. Scocca la scintilla magica: Girdler e Stewart condividono gli stessi gusti musicali, senza pensarci due volte, formano un gruppo, i Fevertrew. I primi germogli crescono, ma è ancora presto per la primavera. L'idillio giunge a compimento solo qualche anno dopo, quando a Girdler e Stewart si aggiungono altri tre componenti.
La band suona live in piccoli locali, raggiunge il successo nella cittadina natale di Reading, ma si scioglie poco dopo. Girdler e Stewart ci riprovano con un nuovo progetto: i Blueboy. Registrano un demo tape in un capannone di un amico e inviano una delle canzoni , "Clearer" alla Sarah Records. L'etichetta decide di pubblicarla come singolo nell'autunno 1991. Nel frattempo nella line-up cambiano gli equilibri,  i Blueboy diventano un vero e proprio collettivo: subentrano il chitarrista Harvey Williams (ex-componente di Field Mice, Another Sunny Day), la cantante / violoncellista  Gemma Townlet, il bassista Mark Andes e il batterista Lloyd Armstrong. Nel 1992 ritornano con un nuovo singolo "Popkiss" e con il primo album "If wishes were horses", pubblicato sempre sulla fedele Sarah Records. "If Wishes were horses" è un disco d'esordio solido e maturo. Fare pop non è mai facile, in un batter d'occhio si scade nel banale, in ballate melense colonna sonora dei peggiori bar di Buenos Aires. Girdler, per sua stessa ammissione, si rifiuta di scrivere tediose canzoni di amore tra un ragazzo e una ragazza, preferisce l'ambiguità. Quella dose di ambiguità tipica della tradizione pop inglese, l'abilità nello smuovere e confondere le acque di Morrisseyana memoria. In scala minore Keith Girdler conferisce un velo di mistero e imprevidibilità ai testi. Particolarmente studiata è invece la parte musicale: le strutture armoniche risultano curate nei minimi particolari, nella fase di scrittura e registrazione niente è lasciato al caso, ogni passaggio strumentale presenta una sua motivazione di fondo. I brani sono piccoli pezzetti di un puzzle immaginario: hanno una forma precisa e combaciano l'un con l'altro. Con accortezza i Blueboy cercano di ricomporre i tasselli mancanti e regalarci la gioia infantile di disfare e rifare il puzzle.




domenica 8 aprile 2012

Live Report : Meat Puppets live alla Flog, 7.4.2012

Quasi per caso mi ritrovo ieri sera al concerto dei Meat Puppets alla Flog. L'evento è stato poco pubblicizzato, non ho visto un manifesto in tutta Firenze, un vero peccato. Il concerto dei Meat Puppets è una sorta di sogno a occhi aperti, i fratelli Kirkwood, Cris e Curt hanno attraversato indenni tre decadi, gli anni ottanta, gli anni novanta e gli anni zero. Ed il motivo di questa eterna gioventù è intuibile fin dai primi minuti. I due fratelli dimostrano sul palco una sprizzante vivacità come se il tempo si fosse fermato al 1982, anno di uscita di "Meat Puppets II", disco riproposto nella sua interezza durante la serata.
In quasi due ore di concerto la percezione è di assistere a un viaggio con alla guida, in grande spolvero, Curt Kirkwood e la sua chitarra. Il fratello Cris al basso e Shandon Sahm alla batteria, quasi ad occhi chiusi, seguono la direzione sonora tracciata da Curt, nasce un'alchimia speciale. Curt è il capocannoniere della squadra, si diverte nel bel gioco, non in solitaria, i compagni di squadra, ricevuta la palla al balzo, fantasticano con lui. Shandon Sahm alla batteria, non perde un colpo e il fratello Cris palleggia che è un piacere. Fuor di metafora, i Meat Puppets in sede live divertono e fanno divertire, coniugando insieme diversi mood sonori: principalmente, lo spirito punk degli esordi e la vena country dal retrogusto bucolico. L'ascoltatore è confuso e felice, ballate come "Aurora Borealis" e "I'm a mindless idiot" acquistano in ruvidezza e potenza, "Climbing" e "The whistling song", country songs scanzonate, in ritmo. Il punk è sempre dietro l'angolo, le sfuriate di Curt Kirkwood, cavallo impazzito, catalizzano l'attenzione delle prime file: indomito Curt cavalca sul palco ed è più volte sul punto di fare stage-diving. Il concerto è quanto di più lontano da una semplice riproposizione di "Meat Puppets II", i vari brani eseguiti assumono una propria unicità data dalla capacità di improvvisare di tutta la band, particolarmente forte è l'intesa tra Curt e il batterista Shandon Sahm. L'abilità nel dare un tocco speciale a canzoni suonate chissà quante volte è il miglior biglietto da visita che ci possa essere per un gruppo. La differenza essenziale tra un disco e un'esibizione live è l'imprevisto, Curt Kirkwood non si sa mai dove voglia ad andare a parare, per sua stessa ammissione, non segue alla lettera la tracklist di "Meat Puppets II", alterna i brani del disco a i classici della band e alcune covers (Sloop John B, Hey baby que paso), è un piacere osservare la sua faccia ed immaginare a cosa stia pensando. A fine concerto si torna a casa a malincuore, ma soddisfatti.