venerdì 29 luglio 2011

La Strana Coppia : Weezer e Flaming Lips


Ieri Weezer e Flaming Lips si sono ritrovati al "Nikon at Jones Beach Theater" presso il PNC Bank Arts Center, Holmdel Township, New Jersey. A inizio concerto Rivers Cuomo e Wayne Coyne si sono presentati on stage, racchiusi in palloncini, si sono simpaticamente spinti, rotolati l'uno con l'altro.Tra l'entusiasmo dei presenti le rispettive band hanno poi suonato una cover, "Sweat Leaf " dei Black Sabbath. La serata iniziata nei migliori modi tra ritmi infuocati e bolle rotolanti è continuata con l'alternarsi sul palco di Weezer e Flaming Lips fino alla conclusione finale, quando le due band per salutare gli spettatori hanno unito le proprie forze per "She don't use Jelly" e "Undone- The Sweater Song".Con il senno di poi una bella coppia, che si è divertita e ha divertito. Non so quanto sia possibile che un evento simile si ripeta, ma speriamo che succeda di nuovo.Dita incrociate.


Setlist:
The Flaming Lips and Weezer
1. Space Bubble Intro
2. “Sweet Leaf” (Black Sabbath cover)
The Flaming Lips
3. Worm Mountain”
4. Silver Trembling Hands”
5. Yeah Yeah Yeah Song”
Weezer
6. “Hash Pipe”
7. “El Scorcho”
8. “Perfect Situation”
The Flaming Lips
9. “Is David Bowie Dying?”
10. “See The Leaves”
11. “Laser Hands Jam”
Weezer
12. “My Name is Jonas”
13. “Susanne”
14. “The Good Life”
The Flaming Lips
15. “Yoshimi Battles the Pink Robots Pt. 1″
16. “Ego’s Last Stand”
17. “Pompeii am Götterdämmerung”
Weezer
18. “Island in the Sun”
19. “You Gave Your Love to Me Softly”
20. “Paranoid Android” (Radiohead cover)”
The Flaming Lips
21. “What Is The Light?”
22. “The Observer” (Extended Jam)”
Weezer
23. “Pork and Beans”
24. “Tired of Sex”
25. “Say It Ain’t So”
26. “(If You’re Wondering If I Want You To) I Want You To”
The Flaming Lips
27. “Do You Realize??”
Weezer
28. “Buddy Holly”
29. “Only in Dreams”
Weezer and The Flaming Lips
30. “She Don’t Use Jelly”
31. “Undone – The Sweater Song”



giovedì 28 luglio 2011

Elliott Smith - Elliott Smith

Artista : Elliott Smith
Titolo : Elliott Smith
Genere : Singer/Songwriter, Lo-Fi, Slow-core
Anno : 1995


Tracklist :
1.Needle in the Hay
2.Christian Brothers
3.Clementine
4.Southern Belle
5.Single File
6.Coming Up Roses
7.Satellite
8.Alphabet Town
9.St. Ides Heaven
10.Good to Go
11.The White Lady Loves You More
12.The Biggest Lie




"I'm the wrong kind of person to be big and famous"
Elliott Smith



La società contemporanea è malata di protagonismo, giovani e meno giovani cercano il successo ad ogni costo, anelano fastidiosamente a 15 minuti di effimera fama. Elliott Smith, il più importante cantautore americano degli anni novanta, non desiderava il successo, per sua stessa ammissione, in un'intervista a una televisione olandese si dichiarava la persona sbagliata per diventare famoso. E diamine, queste parole sono così vere che fanno male, se si considera la tragica fine di Smith, due coltellate al cuore, e addio per sempre a quel tocco genuino, inimitabile, unico nella sua disarmante sincerità. "Elliott Smith" (1995) è il suo secondo disco, uno dei tanti piccoli gioielli scritti dal cantautore di Portland. La verità fa male e Smith te la sbatte dritta in faccia, il dolore, la depressione, le angosce, le ansie, le paure, la soggezione, l'abuso di sostanze. La poesia di strada si fonde a raffinate trame sonore, la chitarra acustica fa da cantore alle emozioni del momento.
Le pause, la ripetizioni di note, il fingerpicking non sono banale manierismo, ma assumono un profondo significato comunicativo, quella voglia, quasi violenta, di esternare il proprio disagio per sentirsi meglio.Quasi un disco heavy, non nella forma e struttura ovviamente, ma nell'attitudine e imprinting. Emerge dal più profondo quel desiderio recondito di gridare la propria rabbia.Il dissapore per l'ambiente circostante sempre più forte tanto quanto si fa più debole l'ipocrisia dei ciechi di cuore.Non sì può fare niente, solo farsi guidare dall'istinto.Evitare che la sofferenza si protragga e aggravi, e tuffarci in fiumi  disperati di parole per sentirci meno soli di fronte alle difficoltà della vita, tanto bella quanto bastarda. Lasciare scivolare l'amarezza e senza timore combattere le ferite aperte e mai rimarginate. Una frase, una melodia forniscono la possibilità di fronteggiare i propri limiti, risvegliano, rafforzano la nostra corazza di fronte al mondo affollato, ma vuoto, quando hai bisogno di una mano per uscire dall'abisso della solitudine più nera.La potenza della musica, e in questo caso, delle canzoni di Smith, aiutano a destarci e a provare ad uscire dal tunnel della tristezza."Elliott Smith" è uno dei dischi  da ascoltare nella vita, non un semplice album, ma  parte integrante di un quadro, il quadro, a tinte forti, del vivere sofferto.


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mercoledì 27 luglio 2011

Damned - Damned Damned Damned




Artista :Damned
Titolo: Damned Damned Damned
Genere :Punk
Anno: 1977
"Damned Damned Damned" è il primo album della storia del punk inglese. I Damned battono sul tempo i Sex Pistols, ma è questione di qualche mese : "Damned Damned Damned" esce su Stiff Records  il 18 Febbraio 1977, "Nevermind the Bollocks, Here's the Sex Pistols" il 28 Ottobre dello stesso anno sulla Virgin Records. La strada dei Damned si incrocia più volte con quella dei Pistols ed altre band della scena punk (Buzzcocks,Vibrators). 


I Sex Pistols grazie alle abili strategie di marketing del manager Malcom McLaren conquistano il successo mondiale e entrano nella storia del music business e poi del punk,  nei Damned prevale unicamente il fattore musicale: la voce affilata e tenebrosa di Dave Vanian, le linee di basso di  Captain Sensible, la chitarra di Brian James (poi fondatore dei The Lords of the New Church) e la batteria di Rat Scabies. Prima l'uscita del singolo "New Rose" (1976) e poi quella dell'album di debutto "Damned Damned Damned" (1977) demarcano una linea di inizio : è cominciato il punk in Inghilterra, poco importa se poi saranno i Sex Pistols, definiti dalla BBC "la solo punk rock band inglese", a portarlo al successo e a monopolizzare l'attenzione dei media, i Damned hanno lanciato la miccia della discordia e dato il via alla rivoluzione. Al diavolo i ritmi dilatati e ricercati del progressive rock, è ora di divertirsi e di suonare del sano rock bastardo. Solo ed esclusivamente rock."Punkeggiare" è ciò che vogliono fare e fanno i Damned. Ed alla grande, cosa non da poco.Nessuna stupida moina da rockstar, ma solo una dannata voglia di spaccarsi in quattro a muoversi come indemoniati sul palco. I brani di "Damned Damned Damned" emanano quel sudore sporco e grondante, lo spirito ribelle e selvaggio del "chissenefrega", il fluire veloce della vita e la sbadataggine cialtrona di non pensare al futuro. Buttate via lo smoking, i Damned vi conceranno per le feste, ritornerete a casa con tuorli di uova nei capelli e vestiti bianchi di farina. Il punk non saluta mai, al massimo preparatevi a ricevere un calcio in culo.


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martedì 26 luglio 2011

Buzzcocks - Singles Going Steady


Artista : Buzzcocks
Titolo: Singles Going Steady
Genere: Punk
Anno : 1979


Tracklist:
1.Orgasm Addict
2. What do I get ?
3.I don't mind
4.Love You more
5.Ever Fallen in Love ?
6.Promises
7.Everybody's Happy Nowadays
8.Harmony in My Head
9.Whatever Happened to ?
10.Oh Shit!
11.Autonomy
12.Noise Annoys
13.Just Lust
14.Lipstick
15.Why can't I touch it ?
16.Something's Gone Wrong Again  


I Buzzcocks nascono nel 1975 a Manchester dall'idea di due studenti del Bolton Institute of Tecnology, appassionati di proto-punk (The Velvet Undergound, The Stooges), Peter McNeish ( in arte Peter Shelley) e Howard Trafford (in arte Howard Devoto).Il nome "Buzzcocks" deriva dalla frase "it's getting a buzz, cocks!"( tradotto: è uno sballo ragazzi) presente in una recensione di uno spettacolo di Rock Follies. La combinazione finale "Buzzcocks" lascia spazio a doppi sensi, una possibile interpretazione è "cazzi ronzanti".  La scintilla  dell'ispirazione per la band scatta a un concerto dei Sex Pistols (Febbraio 1976).Con Steve Diggle al basso e John Maher alla batteria, finiscono a registrare nell'Ottobre 1976 il primo demo tape (mai pubblicato) e nel Gennaio 1977, sulla propria etichetta personale, rilasciano il primo ep autoprodotto "Spiral Scratch". Subito dopo Howard Trafford lascia la band e ritorna all' Università, per formare poco dopo i Magazine. Peter Shelley diventa il lead-singer, Steve Diggle passa dal basso alla chitarra e subentra al basso Garth Smith, sostituito qualche mese dopo da Steve Garvey.Messi sotto contratto dalla United Artist Records (Settembre 1977), pubblicano con un discreto successo di pubblico nel  1978 ben due album, "Another Music in a Different Kitchen"(Marzo) e "Love Bites" (Settembre) e nel 1979 arriva il terzo album " A Different Kind of Tension".

I Buzzcocks, con le dovute proporzioni, sono i Ramones del Regno Unito. Condividono con il gruppo americano una spiccata vena melodica e  una certa leggerezza nei testi. Si distanziano dai Ramones per un velato senso dell'ironia e voglia di provocare, e per una maggiore, seppur minima, ricercatezza sonora."Singles Going Steady", compilation pubblicata su  etichetta Capitol nel 1979 (un anno prima dello scioglimento), raccoglie le A- B sides rilasciate tra il 1977 e il 1979.Parlare di una raccolta in termini positivi potrebbe risultare fuorviante, di solito i greatest hits sanciscono la fine e conclusione di una carriera musicale, una parte marginale della storia di un gruppo.Non è questo il caso.La raccolta"Singles Going Steady", pilastro fondante del pop-punk, è forse più significativa degli album in studio, traspare a chiare lettere l'essenza dei Buzzcocks. Senza togliere nulla ad album come "Love Bites" e "Another Music in Different Kitchen" o "A Different Kind of Tension".Con "Singles Going Steady" ci troviamo di fronte a melodie irresistibili, attitudine punk e ritornelli pop. Testi espliciti, che sdoganano nell'ambiente punk, argomenti scottanti come il sesso (Orgasm Addict) o semplicemente descrivono senza peli sulla lingua la realtà quotidiana di un adoloscente, le delusioni di amore (Ever Fallen in Love, Love you more, What do I get), il pessimismo ironico murphiano (Something's goes wrong again) e il cinismo sarcastico (Everybody's happy nowadays, Noise annoys).











lunedì 25 luglio 2011

Colin Newman- A-Z

Artista :Colin Newman
Titolo: A-Z
Genere: Post-punk
Anno: 1980


Tracklist:
1.I've Waited  Ages
2.& Jury
3.Alone
4.Order for Order
5.Image
6.Life on Deck
7.Troisiéme
8.S-S-S-Star Eyes
9.Seconds to Last
10.Inventory
11.But No
12.B

Nel 1980 i Wire, causa divergenze creative tra i vari componenti, si prendono una pausa. Colin Newman, mente del gruppo, ne approfitta per realizzare il disco che aveva in mente da  tempo, ma non aveva mai realizzato.Libero dagli inevitabili paletti del far parte di un gruppo, porta con sé qualche vecchio compagno di avventure, Bruce Gilbert (chitarra) e Robert Gotobed (batteria), alla produzione si avvale di Mike Thorne, già produttore dei primi 3 album dei Wire e al mixaggio di Harvey Goldberg e concretizza idee che fino ad allora erano solo pensieri nella sua testa.


A-Z pubblicato sulla Beggars Banquet potrebbe essere considerato un ipotetico quarto album dei Wire senza Graham Lewis, ma Gilbert e Gotobed in questa particolare occasione, rilegati al ruolo di semplici strumentisti, non contribuiscono in alcun modo alla fase compositiva, il virus della follia viaggia a gonfie vele nelle vene di Newman.Ne esce un album sorprendente ed a tratti coraggioso nella scelta di allontanarsi dal quel rumorismo celebrale caratteristico del suono Wire. In A-Z siamo di fronte a un Newman  con prerogative sperimentali, in bilico tra schizofrenici affreschi pop (& Jury, S-S-S-Star eyes, Life on Deck) e ballate noise zombie provenienti, con un biglietto di solo andata dall'oltretomba (I've waited for ages, B).Una collezione di video-frame post-industriali. Scene apocalittiche. Il futurismo incontra il surrealismo. La freddezza rivoluzionaria delle fabbriche, macchine, quel mondo rappresentato dall'elettronica algida-emozionale dei Kraftwerk viene filtrato dal primitivismo post-punk. Il geometrismo delle tastiere è criptato da un sottile strato di nebbia chitarristica filo-dadaista.A-Z è un quadro espressionista, un'espressionismo astratto. Le provocazioni filo-sonore di Newman sono come schizzi sulla tela di Pollock, incomprensibili all'apparenza superficiale delle cose, ma riescono ad lasciarti un impronta profonda se solo ne capisci il meccanismo.Al primo ascolto le voci aliene fuori campo, gli echi, le ripetizioni in modo ossessivo di parole e frasi creano un senso di straniamento-disagio, una volta entrati nel tunnel, sarà difficile uscirne.












sabato 23 luglio 2011

Slowdive - Just for A day


Artista: Slowdive
Titolo: Just for a day
Genere :Shoegaze
Anno: 1991


Tracklist:
1.Spanish air
2.Celia's dream
3.Catch the breeze
4.Ballad of Sister sue
5.Erik's song
6.Waves
7.Brighter
8.The Sadman
9.Primal


Shoegaze, i Jesus and Mary Chain ne sono stati i precursori, i My Bloody Valentine lo hanno elevato a genere di culto, ma gli Slowdive lo hanno reso immortale, coniugando  i feedback sonori  con l'eleganza eterea del dream pop targato Cocteau Twins.Si formano a Reading, Inghilterra nel 1989 e nel 1990 vengono messi sotto contratto dalla Creation Records di Alan McGee (etichetta d'oro dello shoegaze e del brit-pop).
I primi due ep, "Slowdive ep"(1990) e "Morningrise"(1991)  preparano il terreno fertile per il primo album.Entusiasmano critica e pubblico e fanno ben sperare.Le aspettative, è inutile negarlo, sono alte, ma non vengono deluse.Nel Settembre 1991 esce il disco d'esordio "Just for a Day", che se non è perfetto, poco ci manca.Non è un capolavoro forse, ma un lavoro intenso e profondo da godere in assoluta tranquillità.9 brani, che fin dal primo minuto, ti conquistano come sa fare solo il miglior amante.Si finisce ad assaporare i gusti della vita ed non accorgersi del tempo che passa: la tristezza, la felicità volano via veloci in un battito di ali.La batteria pulsante di Simon Scott scandisce i battiti del cuore, le voci di Neil  Halstead e Rachel Goswell si  cercano e si incontrano in continuazione come due usignoli innamorati.E noi imbambolati ad ascoltare il canto degli uccelli, ammiriamo le finite sfumature della natura, ora allegra, ora  malinconica.È solo un sogno, è il sogno di Celia (Celia's dream) , ma è così vero.A tratti sembra di vedere davvero la sabbia, le onde del mare (Waves), la brezza fredda sul bagniasciuga (Catch the breeze)  e sentire il brivido caldo dell'acqua sui piedi nudi.Corriamo e il vento soffia su di noi a fior di pelle l'aria marina (Spanish air) e non riusciamo a scappare da questo vortice infinito che è la musica degli Slowdive.Diamine, una volta ci ho provato.Ma è stato l'errore più grande che abbia mai fatto, come si può  fuggire dalla bellezza, prima o poi ritorna da te e si vendica, sei condannato al piacere eterno.






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venerdì 22 luglio 2011

Circle Jerks- Group sex


Artista : Circle Jerks
Titolo: Group sex
Genere : Hardcore punk
Anno: 1980

Tracklist:
1.Deny Everything
2.I Just Want Some Skank
3.Beverly Hills
4.Operation
5.Back Against The Wall
6.Wasted
7.Behind The Door
8.World Up My ass
9.Paid Vacation
10. Don't Care
11.Live Fast Die Young
12.What's your Problem
13.Group Sex
14.Red Tape

Nel 1979 Keith Morris, fuoriuscito dai Black Flag, forma i Circle Jerks insieme al chitarrista Greg Hetson, al bassista Roger Rogerson e al batterista Lucky Lehrer. "Group Sex", uscito su Frontier Records nel 1980, è il disco d'esordio.
Un esempio perfetto di come dovrebbe essere un album hardcore-punk che si rispetti.14 brani per 15 minuti di musica. Potete ben capire che si tratta di canzoni di breve durata, un minuto scarso o poco più. Niente di complicato e complesso, piuttosto brani  costruiti su una struttura ritmica di base semplice, ma in nessun modo  ripetitiva, banale. In fondo sembra facile suonare due o tre accordi e cantarci sopra, ma non è così. Di Circle Jerks non ce ne (erano) sono molti in giro, gli stessi Circle Jerks dopo questo debutto folgorante hanno faticato a ripetersi, l'album successivo "Wild in the Streets" si attesta su buoni livelli, ma non raggiunge le vette incommensurabili di "Group sex", lo scrigno del tesoro, fortino  di piccoli inni punk da urlare ad alta voce e pogare alla grande ai concerti. E il bello è che i testi non trattano di stupide storie d'amore o studenti del college da strapazzo che ci provano con le ragazze e si ubriacano. Ma sul filo del rasoio, tra nichilismo, sarcasmo e un pizzico di ironia, Morris parla di sesso (I Just Want Some Skank), droghe (Wasted), politica (Paid Vacation), della pochezza dei ricconi californiani (Beverly Hills), della rabbia e dell' autolesionismo giovanile (World up my ass, Live Fast Die Young.). Il mio amico grande capo Estiqaatsi dice che un canzone dei Circle Jerks al giorno leva il cattivo umore di torno.Cosa diavolo ci fate ancora sulla sedia?






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giovedì 21 luglio 2011

Wall of Voodoo- Wall of Voodoo

Artista: Wall of Voodoo
Titolo:   Wall of Voodoo
Genere: Post-punk
Anno:1980


Tracklist:
1.Longarm
2.The Passenger
3.Can't make love
4.Struggle
5.Ring of Fire
6.Granma's House






"Wall of Voodoo" (1980), prima produzione discografica dei Wall of Voodoo, dimostra, se ce ne fosse stato bisogno, quanto un ep possa essere importante e scrivere il futuro di un artista alle prime armi. Nel caso di "Wall of Voodoo" credo si possa parlare tranquillamente di  uno dei miglior ep d'esordio mai pubblicato da un gruppo emergente. Non sono io a dirlo, che conto meno di niente, ma è testimoniato dai fatti: qualche anno più tardi, nel 1991 l'ep viene inserito nella compilation "The Index Masters", a testimonianza della sua validità e significato intrinseco nella storia dei Wall of Voodoo.





A differenza di molti debutti "Wall of Voodoo" non presenta debolezze, è un fulgido esempio di come un gruppo possa avere fin dagli inizi le idee ben chiare e riuscire a produrre un suono ben amalgamato, a metà strada tra la tradizione country americana, lo spaghetti western, l'avanguardia post-punk e la sperimentazione elettronica. Il direttore di orchestra è un giovane, ma già determinato, Stan Ridgway. Con voce nasale  racconta storie di disadattati e criminali. Mancano i pop corn e potremmo essere al cinema a vedere "C'era una volta in america". Il fantasma di Morricone ipnotizzato dal pifferaio magico si aggira inosservato (The Passanger), mentre lo spettro di Johnny cash, abbandona la chitarra e imbraccia il sintetizzatore (Ring of fire, cover giustappunto del brano di Cash). Le ombre di Cash e Morricone sono travolte dallo stesso destino: dai ritmi nevrotici e piacevolmente ossessivi, disegnati dalla chitarra di Marc Moreland (Longarm) e da i sintetizzatori, muro sonoro da sfondo alle varie narrazioni. Trame suggestive, non solo per la sostanza a cui accennavo prima, ma per la forma, disturbata da rumori strani o quantomeno inusuali in un brano rock: un squillo di telefono ( Granma's House) e i suoni di un orgasmo femminile (Can't make love). Non un semplice ep, ma un'anteprima gustosa, in vista delle portate principali, "Dark continent"(1981) e "Call of the west"(1982).






mercoledì 20 luglio 2011

Tears for fears- The Hurting

Artista: Tears For Fears
Titolo : The Hurting
Genere :Synth pop
Anno: 1983


Tracklist:
1.The Hurting
2.Mad World
3.Pale Shelter
4.Ideas as Opiates
5.Memories fade
6.Suffer the children
7.Watch me bleed
8.Change
9.The Prisoner
10.Start of The Breakdown






"The Hurting" ovvero quando l'eleganza pop incontra i sintetizzatori.Roland Orzabal (voce, chitarra, tastiere) e Curt Smith (voce, basso, tastiere) realizzano al debutto discografico il perfetto connubio tra la tradizione melodica britannica e le nuova frontiera sintetica degli anni ottanta.Alle sofisticate trame sonore si accompagnano testi dall'alto spessore enfatico:dietro armonie cupe si nascondono gridi di dolore e sofferenza per un'infanzia difficile o sofferti, complicati legami relazionali ed affettivi. The Hurting, la title-track, descrive su delicati ritmi di synths e raffinate linee di basso  con estrema dolcezza nella disarmante tristezza  la  disperata richiesta di aiuto di una persona sprofondata nella solitudine più cupa " Is it an horrific dream.Am I sinking fast.[...] could you ease my load ."(Questo è un sogno orripilante.Sto affondando velocemente [...] potresti alleviare il mio dolore).


La freddezza dei sintetizzatori lascia spazio per la prima volta ai sentimenti. "The Hurting" cambia l'immaginario comune, i synths, per antonomasia, simbolo dell'immobilismo emotivo, tracciano il filo rosso della passione, intrecciandosi a  leggiadri suoni di chitarra e basso.Mad World, ballata synth-pop dai toni sommessi e mesti, nel suo crescere martellante, esplode in  contorni elegiaci delineati  dal suono smaccatamente elettronico dei synhts.I Tears For Fears riescono dove molti gruppi hanno fallito:creare un perfetto ritornello pop di successo, ma non banale.Mad World, nella sua infinita malinconia lirica, decreta il successo del gruppo.Fino ad allora i Tears For Fears di fatto non erano riusciti ancora ad emergere, i primi singoli, Suffer the Children (1981) e Pale Shelter (1982) non avevano suscitato l'interesse del pubblico.Ma poi il paradiso all'improvviso con Mad World e la consacrazione con  Change, brano dall'incedere dance con basso funky  e tastiere latineggianti in primo piano."The Hurting" non è solo un raccolta di singoli da alta classifica, affermarlo, sarebbe sminuirne il valore e dimenticare i tanti piccoli gioielli pop presenti su disco.La claustrofobica The Prisoner, la minimal-utopistica Ideas as Opiates, le struggenti Memories Fade , Watch me Bleed e Start of the Breakdown.Una raccolta di affreschi neo-realisti del malessere dell'uomo moderno.Dimenticata per anni e riscoperta solo qualche anno fa con la cover di Mad World, realizzata da Gary jules per la colonna sonora di "Donnie Darko".




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martedì 19 luglio 2011

The Smashing Pumpkins- Gish

Artista: The Smashing Pumpkins
Titolo :Gish
Genere:Alternative rock, Psychedelic rock, Hard rock
Anno:1991
Tracklist:
1.I am One
2.Siva
3.Rhinoceros
4.Bury me
5.Crush
6.Suffer
7.Snail
8.Tristessa
9.Window Paine
10.Daydream


Inizio anni novanta incomincia il dominio incontrastato dell'alternative rock.28 Maggio 1991, quattro mesi prima dell'uscita di "Nevermind", esce "Gish", album d'esordio degli Smashing Pumpkins, band alternative rock di Chicago. Billy Corgan alla chitarra e voce, D'Arcy Wretzy al basso e voce, James Iha alla chitarra e voce secondaria, Jimmy Chamberlin alla batteria.


Dietro la fase di produzione del disco si nasconde Butch Vig, produttore poi  del pluriblasonato Nevermind, da me citato prima come punto di riferimento della mia breve analisi."Gish" musicalmente non ha niente da spartire con "Nevermind", ma come quest'ultimo mostra i primi sintomi di un'insofferenza giovanile, quasi un ritorno all'attitudine punk, riveduta e corretta. Non fraintendetemi sto parlando di attitudine, non di sonorità punk. Nei Smashing Pumpkins e poi nel movimento grunge intravedo quel senso di rabbia, frustrazione, senso di oppressione tipico della scena punk. Emblematico a riguardo è il testo di "Bullet with Butterfly Wings", manifesto dello spaesamento provato da ognuno di noi nell'età tardo-adoloscenziale."Despite all my rage, I am still  just a rat in a cage"(Malgrado tutta la mia collera sono ancora solo un ratto nella mia gabbia). In "Gish" questo malessere è ancora agli inizi, a tratti solo accennato, forse ancora acerbo per materializzarsi e concretizzarsi in musica. Solo a tratti si  comincia a respirare quel sottile velo di amarezza che sarà il punto di forza di capolavori come "Siamese dream" e "Mellon collie and the infinite sadness". Ad  immagini lucide, limpide di amori contorti e non corrisposti (il dream pop di Rhinoceros e Crush, il grunge sporco di I am one, Siva e Bury me), si alternano foto sfocate di difficile interpretazione (Snail,Window Paine, Daydream), a colpo d'occhio incomprensibili, risplendono, ma  di una bellezza caotica in cui è facile perdersi e non trovare più l'uscita. "Gish" è solo l 'alba di un nuovo giorno, non si intravedono  i bagliori del sole, ma solo i riflessi sul prato.Questione di tempo, ciò che adesso ci appare incompleto, si rivelerà nell'apice del suo splendore all'improvviso, senza cercarlo o volerlo (Siamese Dream).


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lunedì 18 luglio 2011

Wolfango- Wolfango

Artista:Wolfango
Titolo:Wolfango
Genere:Noise, Nonsense
Anno: 1997


Tracklist:
1.Non Importa
2. Interstellar
3.Verità
4.Ozio
5.Battericidio
6.Alligatori
7.Strade
8.Meraviglie
9.Batman e Robin
10.Summer Holiday
11.Uva passa
12.Prima
13.t.p.
14.Augustin



Cosa diavolo suonano i Wolfango?Punk? Rock? Chissenefrega, emersi dalla scena alternative milanese  Marco Menardi (voce, basso, chitarra), Sofia Maglione (voce) e Bruno Dorella (batteria), ovvero i Wolfango  nel 1997 sotto il nume tutelare di Giovanni Lindo Ferretti (C.S.I.) pubblicano l'album di debutto "Wolfango" e compaiono non di rado su gli allora network musicali, Tmc2 e MTV.Se cercate trame melodiche  in cui perdervi, avete sbagliato strada alla grande.Ritentate, andrà meglio la prossima volta.Game over.Se invece, non vedete l'ora di confondervi le idee (poche o molte che siano), cantare frasi senza senso alcuno, del tipo "Sono arrivati gli alligatori, sono arrivati i coccodrilli, per le strade di Milano è pericoloso aggirarsi", mettetevi comodi, avrete  pane per le vostre orecchie.Quattordici brani di follia sonora vi aspettano e guardano con sospetto.Non sarete mica le signorine dalla penna in rossa, incapaci di capire quando si fa sul serio e quando si scherza.Suvvia, l'uscita è  in fondo a destra, si prega di andare da un'altra parte a fare vittime con quel maledetto inchiostro rosso.Bene, ora siamo finalmente soli, i damerini precisini sono tornati a casa.Let's make some noise!In fondo è questo che ai Wolfango piace fare: divertirsi, dare sfogo a propri deliri, che sono quelli un po' di tutti noi, persi nella giungla delle grandi città o rinchiusi nelle piccole, asfissianti realtà  di provincia.E capita, senza accorgersene, di passare pomeriggi a non fare niente ed elogiare la  nullafacenza, labile spiraglio di distrazione dalla noia, ne è un fulgido esempio il testo di Ozio,"Ozio, preferisco stare in ozio che volare nello spazio ai confini con il lazio[...]Senza pensieri, senza problemi, senza tensioni, senza doveri, senza nessuno da sopportare, senza paure da superare". Il miglior manifesto in musica del dolce far niente  mai udito.Per carità mica si parla di capolavoro, ben lungi da farlo.È proverbiale però la genuinità che trapela da brani come Batman e Robin, Meraviglie.Voce, basso, batteria e qualche inserto di chitarra, eppure che viaggio nel tempo dell' infanzia, mentale e forse anche  anagrafica.Quando si riusciva a essere felici  e fregarcene dei giudizi altri "Non importa non serve a un cazzo chiedere scusa", anche se circondati dallo schifo più totale.I Wolfango e le loro canzoni sono semplici e  insignificanti nella loro onestà.Se avete  una mezzora libera e non vi viene nessuna idea, date un ascolto a "Wolfango.Male che vada vi farete una risata.



Giovanni Lindo Ferretti sui Wolfango:
"Un lupo impastato nel fango. Genealogia teutonica vivificata da un soffio balcanico. Sofia. Ascendenze lontane, germogliate nella Milano degli anni '90. Tempi e luoghi sospetti, ma vissuti bene, ad esempio recuperando nastri ancora incellofanati, corsi di lingue straniere regalati dai quotidiani, dai bidoni della spazzatura, pronti per essere sovraincisi e spediti in giro. Inascoltati? Si, ma poi qualcuno se ne accorge e qualcun altro li fa arrivare nel luogo giusto: - Se non piacciono a voi, a chi possono piacere? A noi piacciono moltissimo.- Niente di più fuori e più lontano dalla musica dei tempi dei CCCP. Parola dei CCCP.Finalmente ascoltando un nastro, stonato e mal registrato, il cuore si allarga in un sorriso infinito. Non si spreca Wolfango: cinque concerti in cinque anni, però ha avuto il tempo di fare un figlio e di allevarlo. Non si spreca Wolfango: un basso, mezza batteria, due voci, ma i testi non esistono, sono un pretesto. CosÏ fuori dal mondo da risultare in perfetta sintonia, "ciò che deve accadere, accade" cantano i C.S.I. in "Tabula Rasa Elettrificata". Wolfango lo sa da sempre.Ti voglio bene, Wolfango, ho bisogno di te.Non deludermi, almeno per un po'."


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sabato 16 luglio 2011

The Verve - A Storm in Heaven


Artista : The Verve
Titolo: A Storm in Heaven
Genere: Shoegaze, Dream Pop,Psychedelic Rock
Anno:1993
I Verve si formano nel 1989 a Wigan, Lancashire, Inghilterra.Richard Ashcroft alla voce e chitarra,Simon Jones al basso, Peter Salisbury alla batteria e Nick McCabe alla chitarra.


Nel 1992 incidono per la Hut Recordings i primi singoli, "All in the Mind", "She's a superstar", "Gravity Grave", accompagnati da recensioni positive della stampa specialistica. Con la "benedizione" della critica musicale nel 1993 pubblicano l'album d'esordio sulla Vernon Yard "A Storm in Heaven". Un fulmine a ciel sereno.In piena epoca grunge, quando ancora  termini come shoegaze e brit pop non erano stati codificati, i Verve anticipano i tempi:uniscono il tradizionale english touch dal retrogusto pop a suggestioni neo-psichedeliche,riuscendo a inalare nel nettare rigoglioso dell'ascoltatore sulfurei attimi sognanti. La chitarra di McCabe si disperde in cunicoli, vie, sobborghi, per poi rimbalzare indietro come un'eco e scontrarsi con i lenti, inesorabili climax vocali di Ashcroft.Un crescendo continuo di stimoli e impulsi. Chiusi gli occhi, sarà difficile distinguere il sogno dalla realtà.Per i neofiti o per chi conosce solo il successivo lato pop dei Verve ("Urban Hymns","Forth") , la sorpresa sarà doppia. Ricordo ancora, come se fosse ieri, quando ascoltai per la prima volta "A Storm in Heaven" non volevo credere alle mie orecchie.Pensavo non fosse possibile e mi sbagliavo. Il capolavoro dei Verve è "A Storm in Heaven"."Urban Hymns",disco della consacrazione commerciale dei Verve,è un ottimo album pop, ma non raggiunge minimamente i livelli invalicabili dell'album di debutto. Affermazione ambiziosa, lo so.Ma con il senno di poi, sento di sostenere più che mai questa mia tesi.I Verve dal primo all'ultimo brano riescono con  armonie ben strutturate ad incantarci  prima e deliziarci poi.Non inventano niente, il pregio di Aschcroft e compagni è la capacità di catturare le vibrazioni ancora pulsanti di vecchi suoni e trasformarli in qualcosa che non risulti estremamente derivativo. I Verve pur pescando a man bassa dalla psichedelia (Star Sail, Slide Away, Already There, Make it 'till Monday, Blue) con incursioni nella new wave ottanta (See you in the Next one ricorda le melodie pop degli Echo & The Bunnymen), nel rock nevrotico (Butterfly) e richiami al prog (Beautiful mind) e al blues (The Sun, The Sea), riescono ad evitare l'effetto " del già sentito".Non rimane quel spiacevole senso di assistere a una noiosa, quanto inutile, replica dei bei tempi che furono, bensì si ha la sensazione di assistere a una nuova nascita.


Tracklist:
1.Star sail
2.Slide Away
3.Already there
4.Beautiful Mind
5.The Sun, The Sea
6.Virtual World
7.Make it 'till Monday
8.Blue
9.Butterfly
10.See You in the Next One (Have a Good Time)


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