mercoledì 26 settembre 2012

Fellini - O Adeus de Fellini



La Terra sembra ferma, eppur si muove. Il mondo gira intorno a noi e spesso non ce ne accorgiamo. Nuove realtà artistiche nascono, crescono e scompaiono nei posti più impensabili. La Vanguarda paulista (avanguardia di San Paolo), movimento culturale  sviluppatosi a San Paolo di Brasile tra la fine degli sessanta e i primi anni ottanta, mette in dubbio le labili certezze della cultura filo-anglosassone. La punta di diamante dell' Vanguarda paulista sono i Fellini (nome scelto come tributo al grande regista italiano).  Il bello è che i Fellini non c'entrano niente con gli altri artisti facenti parte della "Vanguarda", perché è bene dirlo subito, il denominatore comune dell' Avanguardia di San paolo non è  musicale, ma attitudinale. Gli artisti di avanguardia si distinguono per l'innata volontà di sperimentare nuove vie musicali e il rifiuto delle grandi etichette discografiche, estranee all'underground. I Fellini non partecipano a nessun programma radiofonico o televisivo, non ricercano le luci della ribalta, sono intenti a creare una propria formula musicale. Nell'album di debutto " O Adeus de Fellini" (letteralmente in italiano "Addio di Fellini "), uscito nel 1985 per la casa discografica indipendente Baratos Afins, il gruppo inizia a delineare la propria cifra stilistica.



I Fellini si mantengono a giusta distanza dai modelli anglosassoni (Gang of Four, The Fall), costruiscono una propria identità, per intenderci, non sono la solita imitazione dei Joy Division. Decidono di cantare in portoghese (ad eccezione del brano Zäune, cantato in tedesco), scelta quanto mai azzeccata, capace di far trasparire appieno la loro brasilianità. La proposta musicale dei Fellini non è una riproposizione sterile di canoni stilistici d'oltremanica, è un incrocio di mondi, all'apparenza, inconciliabili: la tradizione musicale brasiliana (bossa nova, samba) e il post-punk anglosassone.
Il bassista Thomas Pappon scrive la musica e il cantante  Volpato i testi delle canzoni. e "Nada" è il manifesto del disco, la ritmica martellante della linea di basso iniziale si incrocia con il suono dolce della chitarra acustica, è un contrasto tra chiaro e scuro, luce e buio, pesantezza e leggiadria. Lo scontro - incontro si ripropone continuamente, suoni e rumori  vari (tra cui il suono di un treno nella canzone d'apertura) si sfiorano, accarezzano a vicenda e mescolano in un crogiolo di stili molteplici: le sonorità indiane di "Shiva Shiva " (Shiva è una divinità  induista), l'espressionismo tedesco di " Zäune", il "sangre" spagnolo di " Bolero" ( titolo del brano, molto probabilmente, ispirato al Bolero, danza di origine spagnola  nata alla fine del XVIII secolo). Anche i brani di più chiara matrice anglosassone ("Rock Europeu", "Cultura", "Outro Endereço, Outra Vida"), offrono una varietà di vedute sonore, grazie all'introduzione, mai fuori luogo, di inserimenti di tromba e percussioni. "O adeus de Fellini" è l'album che avrebbero inciso gli A Certain Ratio se fossero stati brasiliani e non avessero avuto prerogative dance- punk. Fuor di metafora, senza "se " e senza "ma", l'album di debutto dei Fellini è uno dei migliori dischi, se non il migliore della new wave / post-punk  brasiliana. Merita un ascolto, poi potrete maledirmi.





mercoledì 19 settembre 2012

Suck - Time to suck


Nutro un odio profondo per le cover band, le trovo inutili e banali. I piccoli locali e pub la pensano diversamente, non si contano le serate dedicate a band tributo di Queen, Oasis, U2, Vasco Rossi e chi più ne ha più ne metta. Un omicidio di massa della creatività e dell'originalità. Non si crea più, il musicista assomiglia sempre più allo studente sfigato dell'ultima fila, copia dal secchione della classe e consegna un'imitazione pedissequa dell'originale. Di per sé coverizzare brani di altri artisti è una sfida stimolante ed avvincente, la questione critica è la mancanza di un approccio personalistico verso i propri modelli. Il panorama musicale contemporaneo è affollato da sosia e imitatori. Non esiste più la nobile arte del " copia, ma non si vede" o "fa cover, ma con stile e personalità". Negli anni sessanta- settanta i brani famosi venivano rifatti da artisti su artisti, ma ciascun musicista tracciava la propria orma indelebile. I Suck, band hard rock sudafricana, ci hanno costruito una carriera. Il loro primo ed unico album "Time to suck" (Emi, 1970) è composto, fatta per eccezione per "The Whip" (registrata in sei ore negli studi della EMI a Johannesburg), da cover. Il chitarrista Stephen "Gil" Gilroy , il batterista Saverio "Savvy" Grande, il bassista Louis Joseph "Moose" e il flautista / cantante Andrew Ionnides si prodigano nel rifacimento di classici blues / hard rock, progressive  rock e folk. Alcune cover sono più riuscite (Aimless Lady, Season of the witch, Sin's a good man's brother), altre meno (I'll be creeping).  Il livello qualitativo si mantiene medio - alto, la personalità dei Suck emerge prepotentemente, la volontà c'è, la voglia pure, la determinazione anche, manca la fortuna. "Time to suck" passa inosservato, un disco di cover, per quanto ben fatto, è un punto di partenza, non d'arrivo, una cover non lascia trasparire appieno l'inventiva creativa. Le abilità compositive dei Suck, presunte e potenziali, rimangono nascoste, non per volere della band, ma delle circostanze nefaste (l'aggravarsi della situazione politica e sociale). Il desiderio di registrare materiale inedito si infrange, il gruppo dopo l'uscita di "Time to suck" si scioglie. Tutto è finito o quasi. La storia dei Suck vive grazie ai cultori dell'hard-rock. Recentemente, nel Novembre 2001 "Time to suck" è stato masterizzato su cd, grazie all'etichetta sudafricana Retro Fresh.