Finalmente sono tornati i Bidons! E' uscito da poco - ieri-
il loro secondo album "Back to the roost". Di acqua sotto i ponti n'è
passata tanta: cambi di line- up, diversi concerti in giro per la penisola e
qualche piccola soddisfazione (la data di supporto ai Fuzztones). Con tenacia e
voglia di fare - e soprattutto di suonare- i Bidons (ri)tornano alle radici, il
garage, il rock'n'roll sporco delle cantine e delle bettole di terza categoria.
Quello che ci piace tanto e di cui non potremmo fare a meno. Libero sfogo al
flusso inarrestabile del sacro fuoco della passione con dieci tracce
tiratissime e grezze, tutte autografe, a differenza dell'esordio. Il rock è
divertimento e follia, "Back to the roost" è l'apoteosi di tutto ciò:
cinque ragazzi, scalmanati ed esagitati, suonano per divertirsi, lo fanno con
classe cialtrona da vendere e senza porsi limiti alcuni. Lunga vita ai Bidons.
Recupero di una mia vecchio pezzo (mai pubblicato):
Nella Los Angeles dei primi anni
ottanta inizia l’epoca d’oro della scena hardcore-punk, gli Angry Samoans ne
rappresentano il lato più selvaggio. La band nasce, sul finire degli anni
settanta, dall’idea di due critici musicali, Mike Saunders e Gregg Turner. Non
i soliti critici musicali dalla penna rossa, ma ragazzacci politicamente
scorretti, “sporchi e cattivi” e bastardi. Saunders e Turner, accompagnati al
basso da Todd Homer ed alla batteria da
Bill Vockeroth, incidono nel 1980 il primo singolo “Inside my brain” (Bad Trip
Records), una bomba ad orologeria, pronta a scoppiare da un momento all’altro.
Ma il bello ha ancora da venire, gli Angry Samoans tengono in serbo la miccia
esplosiva, l’ordigno fatale. “Back from Samoa”, uscito nel 1982 e concepito
come EP, è di fatto il primo album degli Angry Samoans, la sorpresa
dall’attrazione micidiale tenuta nascosta. Per gli aspiranti gruppi hardcore
“Back from Samoa” è un bignamino tascabile “sul come dovrebbe essere un disco hardcore-punk che si
rispetti”, per tutti gli altri è un pugno in un occhio ben assestato, niente di
sgradevole sia chiaro, anzi è quasi piacevole farsi trascinare dalla carica
devastante e dall’insana follia di Saunders e compagni. I testi delle canzoni,
scritti da Saunders e Turner, anticipano il disimpegno dissoluto dei Gang Green
(gruppo anti-straight edge della scena di Boston) e giocano con doppi sensi,
immagini provocatorie, surreali e stranianti per la borghesia suburbana
losangelina (They saved Hitler’s cock, My old man is a fatso, Lights out,
Haizman’s brain is calling). Niente da
prendere troppo sul serio, divertimento non-sense allo stato puro. Quattordici
canzoni per un totale di diciassette minuti, molti brani non arrivano al
minuto, bastano pochi secondi per smuovere le acque e scatenare l’inferno in
paradiso. Una toccata e fuga, una sorta
di grande abbuffata punk. L’oggetto del piacere è la violenza sonora, alleviata
da un sottostrato melodico. Gli Angry Samoans non ci lasciano a bocca asciutta,
ci viziano al suono di ritmi veloci e serrati. Ora, mi vogliate scusare, ma
sono in astinenza e devo andare a farmi una scorpacciata di Angry Samoans. Buon
appetito, ma mi raccomando, non fate come il mostro di copertina, sono contro
il cannibalismo.
"In Svezia sono di nuovo gli anni ottanta. E per gli amanti
di sonorità post-punk/synth pop questo sarà un disco da ascoltare e amare." Per leggere la mia recensione per Kalporz nella sua interezza qui
Dopo la retrospettiva su "Siberia" ho avuto il piacere di incontrare Federico Fiumani e scambiarci quattro chiacchiere : qui la mia intervista per Roarmagazine.
Quando cerco la speranza nel buio delle disillusioni,
"Siberia" non può mancare. La prima volta che l'ascoltai fu la luce
che accese il desiderio di rivincita. C'era una volta Firenze, c'era una volta
la new wave cantata in italiano.
"Mikal Cronin è un giovane artista – ventisette anni
appena – figlio della San Francisco degli anni duemila, la città (post)
psichedelica e garage di Ty Segall, Thee Oh Sees, Sic Alps. Ty Segall è il
gemello separato alla nascita di Mikal Cronin: dove c’è Ty Segall, c’è anche
Mikal Cronin." Continua qui la mia recensione del disco per Kalporz
"Kurt Vile, ormai sicuro dei propri mezzi, lascia libero il
proprio io compositivo, lo fa vagare come se fosse un nomade senza meta alcuna." Continua qui la mia recensione pubblicata su Kalporz.
"Mark Arm e Steve Turner non incarnano di certo il
prototipo di umarells, non stanno a guardare i lavori in corso. “Vanishing
Point” è il ritorno discografico dei Mudhoney, un album sincero, senza pretese.
[...]" Continua qui la mia
recensione pubblicata su Kalporz.
Se ne è andato l'artista e grafico inglese, Storm
Thorgerson:
La parola ai Pink Floyd, amici di una vita:
“Siamo rattristati dalla notizia che il genio-grafico, amico
e collaboratore di lunga data dei Pink Floyd, Storm Thorgerson sia morto” (“We
are saddened by the news that long-time Pink Floyd graphic genius, friend and
collaborator, Storm Thorgerson, has died”).
Inauguro una nuova rubrica, ho deciso di chiamarla " E
se domani...", nome scelto a caso, ma non più di tanto. In questo nuovo spazio
farò crescere i germogli delle mie idee e
dei miei pensieri, un po' come era successo nel post di qualche
settimana fa "Pensieri
sparsi". Il passato, presente e futuro del mondo della musica rock
e pop verranno raccontati sotto la mia lente di ingrandimento, personale e
soggettiva. Che il viaggio abbia inizio !
In un ipotetico libro dal titolo "Come scrivere canzoni
orecchiabili senza essere banali" non potrebbe mancare Landslide dei
Fleetwood Mac. Al primo ascolto ti entra subito in testa, la canticchi
all'istante, ha una melodia leggera e leggiadra, strutturata su crescendi di
climax malinconici. La voce di Stevie Nicks, dolce e soave come il canto di un
usignolo, è la colonna portante del brano, il direttore d'orchestra.
"When love breaks down" è un'altra canzone che potrebbe far parte del libro "
"Come scrivere canzoni orecchiabili senza essere banali". I Prefab
Sprout sviluppano un gusto accentuato per le melodie strappacuore. Non è solo
una sensazione, è qualcosa di più concreto. Qualche mese fa, in giro per le
bancarelle di un mercatino, mi capita tra le mani il vinile di "Steve
Mcqueen", l'idea è di farlo mio all'istante. Ci penso su, indecisa tra
quest'ultimo e Octopus dei Gentle giant. Alla fine scelgo i Prefab Sprout e
pago il conto. Dal vinile inaspettatamente cade una lettera, la raccolgo da
terra, è una lettera d'amore, una missiva di amori sensi non corrisposti. Il
tentativo di ricostruire una storia sentimentale passa attraverso le parole e
la musica dei Prefab Sprout. C'era una volta la poesia di Petrarca, oggi c'è
Paddy McAloon.
Sono gli anni ottanta/ novanta ed a Seattle, piccola città americana, c'è tanta voglia di suonare e nel giro di poco tempo si forma una scena musicale florida, supportata prima da fanzine ed etichette indipendenti e poi dalle grandi case discografiche. Vengono fuori gruppi come Nirvana, Pearl Jam, Alice in Chains. La storia la conoscete tutti, non mi metto a raccontarla. Seattle, oggi, è ritornata nell'anonimato o quasi. I Grave Babies, progetto musicale di Danny Wahlfeldt,potrebbero portarla di nuovo alle luci della ribalta. Non perdetevi "Crusher", secondo album della band, uscito a fine Febbraio. Quipotete trovare lo streaming e nel frattempo, se vi va, leggetevi la mia recensione del disco in questione su Kalporz (qui)
Negli ultimi tempi mi capita raramente di aggiornare il blog, me ne scuso. L'ho un po' abbandonato come un vecchio amico, a cui vuoi bene, ma che, per un motivo o un altro, ti scordi di andare a trovare. La maniera migliore per ricominciare credo sia parlare a briglia sciolta, dare libero sfogo ai propri pensieri, futili, ma pur sempre sinceri:
Volevo postare Dazed and Confused, ma ho cambiato idea: è
riduttivo ricordare Jake Holmes solo per quel dannato brano. "The above
ground sound of J. Holmes" contiene tanti piccoli gioiellini, ogni brano
ha una storia a sé, l'argomento della narrazione cambia, si alternano atmosfere
rarefatte (Signs of Age, Did You Know) ad altre più acide (Hard to keep my mind
on you), il tono narrativo però è sempre lo stesso, gentile ed educato, come
quello di un cantastorie della porta accanto. Il menestrello è stato sostituito
dalla chitarra, le storie raccontate da J. Holmes sono unite da un unico filo
rosso: un'attenzione per il suono d'insieme, ogni cosa è al suo posto, regna
l'armonia.
" This
is a vacation, a casual question that if not answered won't have to be
re-asked. Sometimes people need to go. They leave gently, and you just wait for
thei return"
Jake Holmes
racconta "Penny's"
Durante gli anni del liceo Rivers Cuomo mangiava al tavolo
degli sfigati o dei nerds, non ne sono sicura, magari mi sbaglio, ma non penso.
Cuomo da adolescente me lo immagino con gli occhiali e assiduo frequentatore
del corso pomeridiano di letteratura angloamericana e di chitarra, la cameretta
è piena di libri, appunti, strumenti musicali e poster di band heavy metal.
Ecco, Cuomo non era quello che potremmo definire un tipo popolare, anzi
probabilmente i fighetti della squadra di football lo prendevano in giro.
Nonostante ciò, nel corso degli anni novanta Cuomo è riuscito a tirare fuori
dal cilindro magico album come il Blue album e il Green album, con cui ha
conquistato la critica e il pubblico, anche coloro che lo sbeffeggiavano. Credo
sia qualcosa di speciale, quasi una favola dei tempi moderni.
I Plastic Cloud, gruppo psichedelico canadese, fanno
l'occhiolino e anche qualcosa di più alla scena statunitense. La loro proposta
pecca di poca originalità, si rifà a stilemi ben consolidati, non c'è
improvvisazione o una qualsivoglia forma di sperimentazione. La band ripropone
con abilità e stile i topoi del genere. Nella forma i Plastic Cloud sono
conservatori, difendono strenuamente un'idea di musica psichedelica, la
esplicitano a chiare lettere, nei contenuti il quartetto canadese dà libero
sfogo alle proprie fantasie.
Souvlaki è uno dei pochi dischi che non mi stanco mai di
ascoltare, lo metto in sottofondo mentre faccio altro oppure lo uso per
rilassarmi e prendermi un attimo di pausa dallo studio. Un disco per tutte le
occasioni, un po' come "A storm in Heaven" dei Verve e
"Conqueror" dei Jesu o " Ocean Rain" degli Echo &
the Bunnymen. In questi album, seppur diversi, trovo una tranquillità di fondo,
un vagheggiare leggiadro.
Liam Lynch è un gradino sotto, forse anche qualcuno di più,
Weird Al Yankovic, ma sa il fatto suo. Non raggiunge i livelli del maestro,
inarrivabile e lontano anni luce. Si limita nel suo piccolo a metter in scena
un piccolo treatino della parodia, senza troppe pretese o ambizioni. "Fake
David Bowie Song" un sorriso lo strappa sempre.
Le cose si perdono e poi si ritrovano, così è stato per le
registrazioni di Sibylle Baier, attrice e cantante folk tedesca. Tra il 1970 e
il 1973 la Baier con la sua voce si diverte a dipingere paesaggi sulla tela di
un registratore. Un passatempo fulmineo e fugace, il tempo passa e la Baier si
dedica al cinema e poi alla famiglia. Le registrazioni rimangono sepolte tra la
polvere di qualche scaffale fino al 2006, quando esce Colour green, raccolta
delle vecchie registrazioni.
"I believe in you" è una canzone sussurata, dal
tono trafilato e dimesso. Evita facile sensazionalismi e pomposità, sposa un via
minimalista, una semplicità, complessa nella sua ricercatezza. I Talk Talk sono
degli artisti con l'A maiuscola, possono piacere o meno, ma credo non gli si
possa negare un percorso creativo di fondo. Dal synth-pop di "The party is
over", album dopo album, hanno seguito una strada e passo dopo passo
l'hanno percorsa, senza guardare in faccia a nessuno, solo se stessi e il
proprio desiderio di rivincita.
Forse esagero, ne sono cosciente, ma trovo che Elliott
Smith, in quanto artista, non sia replicabile, non ci sarà mai un nuovo Elliott
Smith, per dire. Smith non ha inventato niente, ma ha dato al cantautorato
americano un carattere espressionista, trasferendo l'attitudine lo-fi della
scena rock indipendente anni novanta nelle proprie composizioni con la
chitarra.
la notte era tutto un cercarla tra distese di verde e montagne mai stato cosi' vicino al mostro, giuro non ci sono mai stato. Clandestino nel suo mondo di ghiaccio, clandestino nel suo mondo di niente, rovesciavo i suoi oggetti in giardino sull'asfalto di questa citta'.