giovedì 24 marzo 2011

Wandering through the words

Ispirata dall'invito a spiegare i testi del nuovo album degli R.E.M., lanciato dal mio programma musicale radiofonico preferito "Moby Dick", ho passato un  soleggiato pomeriggio primaverile di maggio a girovagare tra le parole di Stipe.


Oh My Heart




The kids have a new take

A new take on faith
Pick up the pieces
Get carried away

I came home
To a city half erased
I came home
to face what we faced

This place
Needs me here to start
This place
Is the beat of my heart
Oh my heart...

The storm didn't kill me
The government changed
Hear the answer and call
hear the song rearranged

Hear the trees, the ghosts
And the buildings sing
With the wisdom
to reconcile this thing

It's sweet and it's sad and it's true
How it doesn't look bitter on you

Oh my heart...

Mother and father
I stand beside you
The good of this world
Might help see me through

This place
Needs me here to start
This place
Is the beat of my heart
Oh my heart...
In "Oh my heart", presumibilmente dovrebbe celarsi un riferimento alla città di New Orleans. Durante il malgoverno Bush New Orleans, città della musica per eccellenza, fu rasa al suolo dall'uragano Katrina. All'inizio del testo Michael Stipe canta di essere ritornato a casa e aver ritrovato una città mezza cancellata "I came home to a city half erased". Ma il tono di fondo non è di rassegnazione, ma speranzoso nella forza di chi vuole uscire dal buio per ridare luce alla propria terra "This place needs me here to start,this place is the beat of my heart"/"Questo luogo ha bisogno di me qui per cominciare, questo luogo
è il battito del mio cuore".Lo scenario politico rispetto al precedente "Accelerate" è cambiato, è stato eletto il democratico Obama con gioia di Stipe che in "Houston "(canzone contenuta in Accelerate) cantava "If the storm doesn't kill me, the government will/" se la tempesta non mi ucciderà, lo farà il governo" , ora con più serenità ci rassicura che la tempesta non l'ha ucciso e il governo è cambiato"The storm didn't kill me,the government changed".


Mine Smell like honey




I would dare you, but I know I don't need to

You're going to do just what you want to
You're going to take the leading chair at the fairground
You're going to sing the praises of your fruit

Mine smell like honey, uh!
Mine smell like honey, uh!
Mine smell like hu, hu, hu, hu, honey, uh!

Dig a hole, dig it deeper, deeper!
Climb a mountain, climb it steeper, steeper!
Dig a hole, dig it deeper, deeper!
Track a trail of honey through it all

If the end comes faster than we had expected
And predictions lead us to the final fall
If the flowers crack the grain and weave the patterns of the pavement
I can hear you shouting over it all

Mine smell like honey, uh!
Mine smell like honey, uh!
Mine smell like hu, hu, hu, hu, honey, uh!

Dig a hole, dig it deeper, deeper!
Climb a mountain, climb it steeper, steeper!
Dig a hole, dig it deeper, deeper!
Track a trail of honey through it all

Dig a hole, dig it deeper, deeper!
Climb a mountain, climb it steeper, steeper!
Dig a hole, dig it deeper, deeper!
Track a trail of honey through it all

You track a trail of honey through it all
You track a trail of honey
"Mine smell like honey". Il titolo della canzone lo tradurrei con "I miei odori come miele", mine è un pronome possessivo, quindi sottintende un sostantivo, in questo caso direi gli odori, in quanto il verbo "to smell" significa " sentire l'odore, fiutare". Anche se ci sta bene come traduzione anche " le mie profumano di miele". Sul web gira voce che Stipe si riferisca a odori corporali come i peti, molti internauti hanno soprannominato Mine smell like honey come la "the fart song". Personalmente dubito che sia così, sarebbe troppo banale. Secondo me Stipe si riferisce alla proprietà tattile del miele, ossia l'appiccicosità del miele, me lo fa pensare un tratto del testo"Track a trail of honey through it all"/"qualunque cosa accadrà il miele lascerà una traccia". Potrebbe parlare della fine di un rapporto sociale o sentimentale a causa di un abuso di potere da parte di un dei contendenti, partecipanti all'azione. Il miele ,anello di congiunzione difficile da sfilare come la superficie appiccicosa del miele sul palmo della mano, tra i due probabili protagonisti della canzone, le relazioni finiscono, ma la memoria rimane.All'inizio emerge in prima persona singolare la posizione del soggetto succube "I would dare you, but I know I don't need to"/"vorrei affrontarti, ma so che non ne ho bisogno" e l'astio nei confronti dell'abusatore"You're going to take the leading chair at the fairground
you're going to sing the praises of your fruit"/stai per prendere il posto del capo alla fiera,stai per cantare le lodi al tuo frutto"

mercoledì 23 marzo 2011

The pains of being pure heart - Belong




Dopo l’album di esordio del 2009, ritornano i Pains of being pure heart con “Belong”.Perfetta colonna sonora per una notte di mezza estate. 10 tracce all’insegna del miglior teenage pop americano. All’ ascolto dei brani fantastico ad occhi aperti, distesa sul prato di margherite, cuscino dolce e morbido. Con l’immaginazione estraniante dalla realtà, mentre tutto scorre, vago per mille sentieri, rimanendo ferma, immobile, sdraiata sulla freschezza umida dell’erba primaverile”Change the mind, stop the time”. Cullata come una neonata dalle melodie di Belong, assaporo il gusto dolce-amaro dell’ingenuità, delicatamente strappo i petali di un girasole alla ricerca ingannevole di un sì o di un no. La risposta negativa “I know it is wrong, we just don’t belong”, urlata sottovoce dal lato femminile dei Pobuh, Peggy Wang, ondeggia sulle rive del confuso mar di pensieri. Nell’attesa incessante del futuro, un rullo di batteria ci trasporta nel flusso presente. Non si sa mai, quando meno te l’aspetti, tra capo e collo, può capitare di ritrovarsi al momento giusto nel posto giusto. Tutto è perfetto, ogni nota suona intonata come se tutti gli astri fossero allineati(Heavens gonna happen now ). Capelli al vento, l’adrenalina del primo incrocio di sguardi, i battiti del cuore non  conoscono limiti per attimi che non ritorneranno più indietro” and no matter what you say, it’s never gonna come back” (Heart in your heartbreak ). Rotolarsi nel parco come se fosse una piscina a cielo aperto “It’s only skin, we could swim”, sotto il sole cocente di mezz’agosto, rincorrersi a nascondino( The body  ). Sulle labbra il sorriso di un bambino che sogna di andare nello spazio, anche se non accadrà mai(Even in dreams ). Non è oro tutto quello che luccica. Dietro la felicità si nasconde la tristezza. Non si può gioire veramente, senza aver assaggiato la durezza della malinconia che colpisce tutti, anche il cuore della regina Anne”Queen Anne, you’re lying in the Wasteland”(Too tough). Dopo un debutto nella miglior tradizione dream-pop, il quartetto newyorkese, cerca di esplorare nuove linee melodiche, pur rimanendo ancorato all’humus compositivo del primo album.
Recensione pubblicata anche su The Wave Lenght





venerdì 18 marzo 2011

Digable Planets :Crossover is in the air


Nel 1993 si assapora aria di cambiamento, distrutto il muro di Berlino(1989), è il momento perfetto per abbattere barriere stantie, oltre i confini di classificazione di generi musicali. Oltrepassare le porte di Ercole verso l’infinito ed oltre. Per onor di cronaca, negli anni ottanta Run dmc e Aerosmith, Public enemy e Slayer hanno fatto il primo passo verso il  crossover, mescolando come abili stregoni del ‘500 hip-hop e rock. I primi cantano insieme al rockettaro Styler nell'ormai storico video di "Walk this way"(1986), i secondi campionano a sorpresa il riff di  chitarra di "Angel of death" nella canzone "She watch channel zero"(1988). Ma i Digable Planets con l'album d'esordio "Reachin'(A new refutation of time and space) nel 1993 si spinsero decisamente oltre, verso inimmaginabili lidi illimitati di maree sonore. Colpiscono nel segno, fondendo il flusso di rime rap di strada con un incantevole base di jazziana memoria. Quando meno te l'aspetti in sottofondo compaiono sfumanti arcobaleni millecolori. E' difficile capire dove comincia la base di tromba e dove finiscono i raggi di dialettica ritmata. Accendo lo stereo, per avere un po' di compagnia in una fredda serata di inverno, seduti sulla poltroncina vicino al camino, stanchi morti dopo una giornata stressante, potremmo collassare nel sonno all'istante, invece finiamo per sognare a occhi aperti, non ricordandoci più da dove proveniamo("Where I'm from"). Un viaggio nel tempo e nello spazio("Time & space"). Alzo il volume, mi chiedo se  i De la soul abbiano deciso di fare jazz,  forse sono sotto  acidi, eppur avevo bevuto solo un succo di aranciata? Tranquilli, i digable planets fanno questo effetto. Rime perfette, ritmo hip-hop, groove , ma impreziosite da un retrogusto di altri tempi, l'i-pod si trasforma in una radio degli anni 20(,"It's cool like dat"). Chissà, forse nella mente si crea un mash-up tra un canzone di Nina simone e  una di Nas. Basta ragionarci troppo, dov'è la mia testa? Mi sa che l'ho persa in questa fuga dalla realtà.("Escapism"). Conclusione? Esperimento riuscitissimo, niente abiura per questi scienziati pazzoidi, sarà più difficile da digerire  della rivoluzione copernicana, ma è sotto gli occhi di tutti, hip-hop e jazz formano un reazione chimica. Supportati dal successo di vendite, i digable planets ritornano in laboratorio, pardon studio di registrazione, per dare alla luce  a un nuovo capitolo della storia"Blowout comb"(1994). Un ritorno alle origini underground. Il disco si smarca dalle influenze jazz, per dar più spazio a sonorità rap. Il pubblico apprezza, ma qualcosa si rompe negli equilibri di gruppo, incominciano le prime divergenze creative fra i vari componenti. I pianeti non sono più allineati.


Antesignani:





Digable planets



martedì 8 marzo 2011

Come un vecchio film : Blank Dogs - On Two Sides



Prima o poi tutti i dvd finiranno nel cestino. E’  così accecante la visione nitida dei colori sullo schermo video collegato al lettore dvd. Quanto è bello guardare  un vecchio film nel formato originale non rimasterizzato, riscoprire le vecchie videocassette  sepolte da cumuli di polvere e la pellicola rovinata dall’incuranza del tempo. L’imperfezione della trasmissione visiva riflette l’indecisione dei tratti emotivi, l’indeterminazione dei movimenti sensoriali. La perfezione razionale della tecnologia nasconde meschinamente gli errori umani. E’ giunta l’ora di ritornare alle radici primitive della trasposizione audio-visiva. Il mezzo di comunicazione narrativa non deve alterare il messaggio. Blank Dogs al secolo Mike Sniper, polistrumentista statunitense reduce da un’esperienza in ambiente hardcore-punk (nel gruppo DC Snipers), condivide alla grande questa Weltsanschaung. Nel 2008 pubblica il disco d’esordio “On two sides”, salutato dalla critica come il ritorno alla bassa fedeltà, tanto cara ad artisti degli anni novanta come Pavement, Guided by voices, Sebadoh. Ma che genere fa il baldo giovane Sniper? Difficile da dire, sfugge da  ogni possibile catalogazione. E poi direi che non se ne può proprio più di classificare gruppi e artisti. Blank Dogs elabora un sound tutto suo, con le sue ali dorate, vola soave , leggiadro come un tenero uccellino  tra rami caduti, selve oscure e alberi dai folti cespugli. Un  sorta di usignolo scalmanato che non verrà ricordato certamente per la sua intonazione , ma per la frammentarietà dei gettiti vocali. Una fontana di suoni. Schizzi di parole  sgocciolano  sulla tela del pentagramma affreschi di note, colorate a tinte forti da accenni di suggestivo post- punk alla Wire (“Ants”, “Epic moves”) e da pennellate di dark-new wave, sfumate da una voce fantasma  ricordante a tratti un Robert Smith raffreddato (“Blaring speeches”). E’ facile incantarsi, dimentichi del mondo esterno, con la mente tra le nuvole della spensieratezza(“Meltdown cloud”) , ritrovandosi a ripetere gesti automatici-robotici, come premere e ripremere fino all'infinito il pulsante “replay” per rivivere attimi pop fugaci attraversati da turbinii elettrici (“Calico Hands”,”Pieces”,”The station”,”The lines”). Momenti scanzonati di lucida follia con tanto di coretti, rimbombanti come echi nel vuoto (“Three window room”,”RCD song”). Questo ed altro vi può regalare lo strabiliante universo di Blank Dogs.

sabato 5 marzo 2011

The loudest band in New York : A place to bury strangers - Exploding head




Nel 2009, dopo il disco d’esordio omonimo A place to bury strangers (2007, Killer Pimp records), ritorna sulle scene quella che è stata chiamata a ragion veduta la “loudest band in New York”. Famosa per live infuocati. Su mute records esce finalmente “Exploding Head”. Mai titolo fu più perfetto. Il disco è un’esplosione di suoni, un incrocio magico tra shoegaze, space-rock e dark new wave. Una full-immersion a rischio di scossa elettrica, tra scoppi scintillanti di chitarre distorte, piroette vorticose di lampi, saette, fulmini di labirinti sonori ondivaghi. Siamo spettatori strasvolti-travolti, sconvolti-coinvolti, trascinati, ipnotizzati in scie  elettromagnetice ad alta tensione. E’ come vagare, sprofondare in un abisso infinito di watt. Un colpo al cuore in piena regola, di quelli che  non si scordano facilmente( “In your heart”). Si prova piacere nel pericolo mortale di sentirsi perduti (“Lost feeling, ”Deadbeat”,”Ego death”), l’autobus è passato, si erra per le dead-end streets, senza via d’uscita, dimenticandosi del tempo. Secondi, minuti, ore volano (“Keep slipping away”), non tornano più indietro, per sempre persi, sfuggono via, scivolati inesorabilmente alla percezione sensoriale(“ Everything always goes wrong”). Neuroni in frantumi, vetri sparsi per terra, è facile inciampare, ma non è niente (“It is nothing”), se si è felici di lasciarsi andare alle mani del destino (“Smile when you smile”), vivere tra la nebbia oscura, ombrosa dell’amore (“I lived my life to stand in the shadows of your heart”).




giovedì 3 marzo 2011

I feel stupid and contagious : Nirvana - Bleach




 “Smells like teen spirit”. Il titolo dice già tutto. Ogni parola risulterebbe superficiale. Per antonomasia è la canzone simbolo per la generazione di rockers anni novanta. Un riff di chitarra immarcescibile, indimenticabile, rabbia giovanile tramutata in note, l’inadeguatezza dell’inquieto vivere tradotta in un ritornello, straripante di insofferenza maledetta e auto svilimento( “I feel stupid and contagious”). Il brano è tratto da “Nevermind”,  la fine dell’inizio del verbo cobaniano. Milioni di copie vendute in tutto il mondo, tour sold out, la fama all’improvviso soffocano la vena poetica decadente di Cobain, affogato nel mar nero come il petrolio. Qual è la foce del fiume, per restar in furor di paragone? Era solo il 1989, un gruppo di ragazzi tra Olympia e Seattle, uniti dalla passione per la musica, incidono su etichetta Sub pop il disco d’esordio “Bleach”. Tuffo ad occhi chiusi nella melma grezza, ruvida, corpi sporchi immersi nel fango del dolore. Rigetti di parole, vomito di emozioni, tra conati di ira furiosa( “Negative creep”, “Floyd the barber”, “Downer”) e riflessioni introspettive urlate(“ Sifting”, “Scoff”, “Swap meet”,”Big cheese”). Guardarsi allo specchio e avere voglia di spaccare i vetri con  un pugno. Soffrire, ma non riuscire a piangere. Ferita difficile da rimarginare. Per scaricare la tensione si finisce per ritrovarsi a strappare le pagine del diario dei ricordi(“Paper cuts”), senza capire perché. Calmate le acque, al tramonto, scende qualche lacrima silenziosa, riflesso del caos cosmico interiore. La vita è una guerra contro noi stessi. Piccoli quadri impressionisti, la cornice è rovinata, i contorni sfocati, ma i colori di piccole storie sono  più accesi che mai, espressivi come gli occhi di una ragazza al calar della luna(“About a girl”). Prima dei nirvana l’avevano capito i Black Flag nel lontano 1983 con l’album  dal titolo significativo“ My war” , affresco nichilista e rassegnato. Le canzoni sono come incendi in un fuoco di paglia, infiammato dal cantato sgraziato di Henry Rollins, accompagnato dalle scale di chitarra strazianti, corrosive, aggressive di Ginn per sottolineare quanto è duro superare il muro del conflitto per affermare il propria prospettiva(in “I cant’t decide”, Rollins urla insofferente ripetutamente “I can’t decide anything”).

Bleach(1989,Sub pop)



" I'm a negative creep and I'm stoned !"





"I can't decide,I can't decide, I can't  decide anything"



mercoledì 2 marzo 2011

R.E.M. - Collapse into now

Niente di nuovo sul fronte occidentale
Il prossimo 8 Marzo esce “ Collapse into now” , quindicesimo album della rock band  statunitense R.E.M., sulla breccia ormai da più di trent’anni. Prima dell’uscita ufficiale del disco, il trio meravigliao Mills, Stipe, Buck ha messo l’acquolina in bocca ai vari fans sparsi per il mondo, consentendo verso i primi di Gennaio il download gratuito di Discoverer e pubblicando  qualche settimana più tardi su youtube  un breve video trailer contenente un riassunto di pochi secondi di ogni brano. A febbraio è poi uscito il primo singolo, per il mercato europeo “Uberlin”, per quello americano “Mine smell like honey” con annesso video autolesionista, in cui Michael Stipe viene scaraventato , rotolato per le scale da quattro energumeni vestiti di bianco. Oggi ho ascoltato l’album in streaming, mi accingerò a scrivere le prime impressioni per uno dei lavori  più attesi  di questa primavera musicale. L’intro di apertura in piena avan scoperta nella giungla di suoni è l’elettrizzante smarrimento “Discoverer “, ricordante a tratti “Finest worksong”. Perfetta da cantare a squarcia gola per perdersi per sempre nella folla rumorosa e rumoreggiante da stadio .Si prosegue al meglio(“All the best”) con l’acceleratore al massimo, senza freni puntati verso l’euforia di un nuovo giorno per impazzire in compagnia di un ritornello dannatamente pop e un buon bicchier di vino. Dopo la pazza gioia, per un attimo  rallenta il ritmo adrenalinico per lasciar spazio a tre ballatone commoventi in perfetto stile remmiano(“Uberlin” ,”It happened today” con la partecipazione di Eddie Vedder,“Oh my heart” con intro di fiati made in New Orleans e momento amarcord con l’elegante, mai dimenticato, mandolino, protagonista dell’hit single anno ‘91  “Losing my religion”). Ormai  la mente sconfinata ,collassata nella fase più profonda del sogno-sonno, può solo desiderare, sperare nella bellezza semplice, quotidiana di una dolce melodia struggente(“Every day is yours to win”). Per poi affacciarsi alla finestra ed ammirare con gli occhi  increduli di un bambino l’albero di pesco con i  frutti appena sbocciati (“ Mine smell like honey” ). Sentirsi forti come non mai, vogliosi di cogliere l’attimo fuggente, decidere   con gli amici di scaraventarsi in giardino all’attacco di una nuova alba, stufi di giocare in difesa(“Alligator_Aviator_Autopilot_Antimatter “ con la rebel girl Peaches). In sottofondo la voglia di giocare ,scherzare suonando (“That someone is you”).Tra  atmosfere, sensazioni del passato, futuro, presente(“ Walk it back”), è il momento di lasciarsi andare alle prime emozioni in un confronto tra noi e il mondo immenso, immerso nel blu dipinto di blu(“Blue” con la poetessa rock Patti Smith).L’ultima sigaretta è finita, si sta spegnendo lentamente e il treno è arrivato alla fermata, non rimane che ripensare al viaggio con un sorriso e la voglia di rifarlo subito. Il nastro si può sempre riavvolgere se si ama rivivere i ricordi passati. 
Recensione inserita nel magazine musicale online Distorsioni:

Trailer introduttivo


Primo singolo